Marketing e sport: quando la comunicazione scende in campo e cambia le regole del gioco
- alessandragruosso
- 21 ott
- Tempo di lettura: 4 min
Come il marketing sportivo sta riscrivendo le regole dell’engagement.

C’è un momento, nello sport, in cui tutto si ferma: l’attesa prima del fischio d’inizio, il boato del pubblico, il gesto che diventa leggenda. È in quegli istanti che la comunicazione trova la sua essenza più pura. Lo sport, da sempre, è un linguaggio universale fatto di emozioni, sfide e simboli condivisi — il terreno perfetto per il marketing, che qui non deve inventare storie, ma solo imparare a raccontarle.
Lo sport come apripista di campagne iconiche
Nel mondo della comunicazione, lo sport è sempre stato un laboratorio di linguaggi nuovi e di narrazioni potenti. Dalla celebre “Just Do It” di Nike (1988), manifesto di libertà e determinazione, alla storica partnership con Michael Jordan che ha dato vita al mito delle Air Jordan, le campagne nate dallo sport hanno segnato epoche e trasformato i brand in simboli culturali.
Tra le più iconiche ricordiamo anche:
Adidas – “Impossible is Nothing” (2004): la celebrazione della resilienza umana;
Gatorade – “Be Like Mike” (1991): un invito universale a sognare in grande;
Puma – Usain Bolt Lightning Bolt: il brand come acceleratore di leggenda;
Guinness – “Wheelchair Basketball” (2013): quando lo sport diventa metafora di inclusione.
Campagne che hanno saputo usare l’energia dello sport per toccare corde emotive profonde, oltre la performance.

Sponsorship: quando brand e sport condividono valori
Nel panorama del marketing sportivo contemporaneo, la sponsorship è molto più di un accordo commerciale: è una partnership strategica e valoriale. Non si tratta più soltanto di “mettere il logo in campo”, ma di costruire un racconto condiviso tra brand, sport e pubblico.
Le collaborazioni più efficaci nascono quando esiste una reale affinità tra identità del marchio e spirito della disciplina. È il caso di Coca-Cola e le Olimpiadi, una delle partnership più longeve della storia: dal 1928 il brand è sinonimo di inclusione, festa e condivisione — gli stessi valori su cui si fondano i Giochi. Oppure di Red Bull, che ha trasformato la sponsorizzazione in un modello di business a sé: non si limita a finanziare eventi, ma li crea, diventando editore, organizzatore e storyteller dei propri sport. O ancora Rolex, che nel tennis e nella vela ha trovato l’ambiente perfetto per comunicare eleganza, precisione e prestigio.
Tutti casi in cui l’incontro tra brand e sport genera un beneficio reciproco reale:
per il brand, un guadagno in reputazione, visibilità e posizionamento emozionale;
per lo sport, risorse economiche e un racconto più forte e universale.
Ma non tutte le partnership funzionano. Quando manca coerenza, la sponsorship rischia di ridursi a rumore visivo: tante presenze, poca sostanza. Il pubblico di oggi è consapevole, e riconosce subito quando un brand è “ospite di passaggio” e non parte integrante del gioco.
Oggi la sfida per i brand è questa: non esserci ovunque, ma esserci bene.
Investire su relazioni durature, su progetti condivisi, su esperienze che coinvolgano davvero i fan e li rendano partecipi di un racconto autentico. In questo senso, la sponsorship diventa una forma evoluta di brand activism: un modo per prendere posizione, sostenere valori e costruire legami culturali, non solo commerciali.
Dallo sport al grande spettacolo: l’era dell’intrattenimento
Negli Stati Uniti, lo sport è già da decenni spettacolo, business e cultura pop: basti pensare al Super Bowl, dove lo show dell’intervallo e gli spot pubblicitari sono attesi quanto la partita stessa.
In Italia questo approccio sta maturando. Alcuni club e discipline stanno imparando a valorizzare il lato esperienziale:
Como 1907, esempio virtuoso di brand sportivo contemporaneo, capace di fondere estetica, identità e storytelling internazionale;
Olimpia Milano e Virtus Bologna, che investono su fan experience e intrattenimento per rendere ogni match un evento;
Dall’altra parte, persistono casi di over-branding, dove la ricerca ossessiva di visibilità genera l’effetto opposto. Nel basket italiano, ad esempio, parquet e tabelloni sono spesso saturi di loghi, tanto da rendere difficile seguire l’azione di gioco. Situazioni simili si ritrovano anche nel volley, nell’hockey su ghiaccio e in alcune categorie del motorsport, dove la sovrabbondanza di marchi su divise e superfici riduce la leggibilità e la forza del messaggio. Il risultato è un rumore visivo che penalizza tutti: lo spettatore, che fatica a concentrarsi sullo spettacolo, e i brand stessi, che perdono riconoscibilità e impatto.
La lezione è chiara: più logo non significa più valore. La sponsorship efficace si costruisce sulla qualità del racconto, non sulla quantità di spazi venduti.
Il futuro del marketing sportivo: autenticità, spettacolo e cultura
Con i Giochi Olimpici Invernali di Milano-Cortina 2026, l’Italia ha l’occasione di ripensare il proprio modo di coniugare sport e comunicazione. I grandi eventi non sono più solo competizioni, ma piattaforme di storytelling e visione, dove sport, brand e pubblico dialogano su valori comuni.
Discipline come il pugilato, che all’estero è uno spettacolo capace di muovere milioni di persone e sponsor, stanno vivendo una nuova fase anche in Italia: Federazione Pugilistica Italiana presenterà a breve il nuovo logo e i progetti previsti nel 2026 in occasione della celebrazione dei 110 anni. Tutti segnali che denotano una volontà di rinnovamento mirata a dare più spazio a questo sport. Lo stesso vale per gli sport invernali e per realtà che puntano a un racconto più moderno, fatto di esperienze, social content e format immersivi pensati per i nuovi pubblici.
Parallelamente, cresce il ruolo degli atleti come ambassador reali, ovvero figure credibili e riconoscibili, capaci di rappresentare visione, valori e inclusione.
È su questa autenticità che i brand dovranno costruire le collaborazioni del futuro, superando la logica dell’esposizione per abbracciare quella della connessione.
Il futuro del marketing sportivo passerà da qui: dalla capacità di unire emozione, cultura e intrattenimento per creare esperienze in cui pubblico e brand si riconoscono e si ispirano a vicenda.





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